Biblioteca Civica Bertoliana

Novità

La ragazza che sognava Hemingway

La ragazza che sognava Hemingway

Un'autrice in cerca d'ispirazione. Un padre mai conosciuto. Un viaggio alla scoperta di un segreto nascosto troppo a lungo. Le fiamme di cento candele rischiarano l'oscurità della cattedrale. Mentre veglia la bara chiusa, Delphine riesce soltanto a pensare che, con la morte della madre, ormai non c'è più nulla che la trattenga a Parigi. A diciassette anni, è finalmente libera di lasciare il collegio e inseguire il sogno di diventare scrittrice, sulle orme di un padre che non ha mai conosciuto, se non attraverso i racconti della madre. Le storie di quell'uomo geniale e imprevedibile, svanito nel nulla dopo due anni intensissimi e senza sapere di aver concepito una figlia, hanno accompagnato Delphine fin dalla più tenera infanzia, instillandole il desiderio di poter essere anche lei, un giorno, al pari di quella generazione perduta d'intellettuali e poeti che ha cambiato la storia della letteratura. Adesso che ha iniziato a scrivere il suo primo romanzo, sente che è arrivato il momento di confrontarsi con l'uomo che, con la sua assenza, ha segnato la sua vita: Ernest Hemingway. Così, Delphine si mette alla sua ricerca, in un viaggio che la condurrà dai vicoli oscuri di New York alle spiagge assolate di Cuba, dove forse le sue speranze s'infrangeranno contro una realtà che andrà ben oltre ciò che aveva immaginato... Una protagonista forte e in anticipo sui tempi, pronta a tutto per realizzare i propri sogni. Un'autrice capace di trasmettere tutto il fascino e le contraddizioni dell'epoca di Hemingway e della Generazione perduta. Una storia che ci ricorda l'importanza dei legami familiari e il potere che hanno nel forgiare la nostra identità.  

Ogni prigione è un'isola

Ogni prigione è un'isola

«So come vanno le cose col carcere» scrive, «il carcere lo odiano tutti. Alcuni amano il carcere degli altri, per così dire»: parlarne è un gesto inevitabilmente politico, perché rivolgendo lo sguardo al carcere lo si rivolge al cuore della società, ma questo è anche e prima di tutto un libro personale, in cui ogni cosa – ritratti, riflessioni, cronaca, ricordi – è cucita assieme dalla scrittura limpida e coinvolgente di Daria Bignardi. "Il carcere è come la giungla amazzonica, come un paese in guerra, un'isola remota, un luogo estremo dove la sopravvivenza è la priorità e i sentimenti primari sono nitidi": forse è per questo che, da narratrice attratta dai luoghi dove "l'uomo è illuminato a giorno", Daria Bignardi trent'anni fa è entrata per la prima volta in un carcere. Da allora le prigioni non ha mai smesso di frequentarle: ha collaborato con il giornale di San Vittore, portato in tv le sue conversazioni coi carcerati, accompagnato sua figlia di tre mesi in parlatorio a conoscere il nonno recluso, è rimasta in contatto con molti detenuti ed è tuttora un "articolo 78", autorizzata cioè a collaborare alle attività culturali che si svolgono in carcere. Ha incontrato ladri, rapinatori, spacciatori, mafiosi, terroristi e assassini, parlato con agenti di polizia penitenziaria, giudici, direttori di istituto. Per scrivere di quel mondo si è ritirata per mesi su un'isola piccolissima: Linosa. Ma il carcere l'ha inseguita anche lì. E gli incontri e la vita sull'isola sono entrati in dialogo profondo con le storie viste e ascoltate in carcere. Bignardi ci racconta il suo viaggio nell'isolamento e nelle prigioni, anche interiori, con la voce unica con cui da sempre riesce a trasportarci al centro delle esperienze, partendo da sé, mettendosi in gioco, così come ha fatto la mattina del 9 marzo 2020 in un video girato di fronte a San Vittore, mentre alcuni detenuti salivano sul tetto unendosi alle rivolte che stavano scoppiando in molte carceri italiane. In seguito a quegli eventi sarebbero morte tredici persone recluse.

A study in drowning

A study in drowning

Effy Sayre ha sempre creduto nelle fiabe. Non ha avuto scelta. Fin da bambina, è perseguitata da misteriose visioni del Re delle Fate. Ha trovato conforto solo tra le pagine di Angharad, il romanzo del compianto Emrys Myrddin, che racconta di una giovane che si innamora del Re delle Fate, arrivando però a distruggerlo. Effy, pur amando più di ogni cosa la letteratura, è costretta a frequentare la facoltà di Architettura, perché alle donne di Llyr non è permesso studiare Lettere. Il libro è tutto ciò che la tiene a galla durante i suoi studi alla prestigiosa facoltà di architettura dell’Università del Llyr. Così, quando la famiglia Myrddin indice un bando per ristrutturare la magione dell’autore, Effy è sicura che questo sia il suo destino. Ma Villa Hiraeth è un’impresa impossibile: una casa ammuffita e decrepita sul punto di sgretolarsi nel mare affamato. E quando Effy vi arriva, scopre di non essere sola. Preston Héloury, un giovane e tedioso studioso di letteratura, è determinato a dimostrare che l’autore preferito del Llyr era un truffatore. Mentre i due studenti investigano sull’eredità di Myrddin, mettendo insieme i pezzi attraverso lettere, libri e diari, scoprono che le fondamenta della casa non sono l’unica cosa di cui non ci si può fidare. Forze oscure, sia mortali sia magiche, cospirano contro la ricerca della verità e l’amore che sta nascendo tra i due. Il segreto che vogliono portare alla luce potrebbe cambiare per sempre le sorti dell’intera Llyr…

L'ultimo pinguino delle Langhe

L'ultimo pinguino delle Langhe

“Anche i lunedì speciali, quelli capaci di cambiare il corso di un’intera esistenza, iniziano come un giorno qualsiasi.” Lo sta per imparare a proprie spese il potente broker svizzero Rufus Blom, quando durante la solita corsa all’alba tra le colline delle Langhe si imbatte nel cadavere di una ragazza. Sulla schiena l’assassino le ha tracciato col sangue una svastica e un cognome, il suo: Blom. Poche tracce lì intorno e tanti problemi per il commissario Gualtiero Bova, che tutti chiamano il Pinguino, da poco trasferito a Mondovì: in un posto dove di norma tutti sanno tutto di tutti, nessuno sembra invece avere idea di chi sia la ragazza, né tanto meno perché sia stata usata come messaggio minatorio verso Blom, che ha scelto il Piemonte per sposarsi con la bellissima fidanzata Rose Bellamy. Quello del Pinguino è stato un trasferimento punitivo, un esilio mascherato da promozione, ma lui non è il tipo che si perde d’animo: accompagnato dalla fedele bassotta Gilda e dal tabacco della sua pipa deve capire chi è la vittima e qual è il legame che la unisce alla famiglia Blom, sulla quale sembra pesare più di un segreto. Orso Tosco irrompe sulla scena del noir italiano insieme a un personaggio indimenticabile, che porta su di sé umanissime e irresistibili contraddizioni: cinico e sensibile, ruvido e premuroso, violento e dolcissimo, tragico e involontariamente comico, con un’intelligenza sopraffina che lo guida dove nessun altro può arrivare.

Loro

Loro

Può il memoriale di una giovane donna sconvolgere a tal punto, da turbare persino coloro che si avventurano abitualmente nei recessi più oscuri della mente? È quanto accade in queste pagine, nelle quali Margherita B. narra dei fatti accaduti nel 2018, quando prende servizio, stando alle sue parole, come istitutrice presso una famiglia aristocratica, gli Ordelaffi, in una magnifica villa progettata da un celebre architetto alle porte di Roma: la casa di vetro. Il compito che le viene affidato è prendersi cura delle gemelline Lucrezia e Lavinia. Nella casa di vetro, tutto sembra meraviglioso quell'estate. Ogni cosa è scelta con gusto, con garbo, con dedizione. Le gemelle, identiche, sono una meraviglia di educazione e di talento. Lucrezia ama il pianoforte, Lavinia l'equitazione. Ma pochi giorni dopo l'arrivo di Margherita cominciano a rivelarsi presenze terrificanti. Sono loro, dicono le bambine, gli antichi ospiti della casa, tornati per riportare in luce l'orrore. "Loro" rivisita le ossessioni che da anni segnano la narrativa di Roberto Cotroneo: il tema della verità e dell'ambiguità, del bene e del male, della violenza, del sacro e della felicità, quando brucia fino a farsi cenere. Le sue pagine, oscure e strazianti, si muovono per territori sinistri, e indagano soprattutto quella terra di nessuno che è la nostra mente. Un romanzo che, nel suo finale del tutto imprevedibile, è un omaggio alla grande letteratura e, nello stesso tempo, un racconto nitido che si muove dentro uno scenario torbido e sa guardare oltre l'ignoto. Alla fine, a prevalere saranno il fallimento di ogni ragione e il trionfo di un mondo che non è di questo mondo. Perché, come ha scritto Nietzsche: «quando scruterai in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te».

Belle per sempre

Belle per sempre

Abdul ha sedici anni, o forse diciannove: i genitori confondono spesso le date di nascita dei loro nove figli. Vivono ad Annawadi, la baraccopoli che sorge sui terreni che appartengono all’autorità aeroportuale di Mumbai. La gente dell’aeroporto ha fatto costruire una barriera che separa lo slum dalla strada che porta al terminal internazionale. Chi la percorre vede solo un muro di cemento ricoperto dalla pubblicità di una marca di piastrelle, uno slogan che prende tutta la lunghezza della parete: belle per sempre, belle per sempre, belle per sempre. Oltre il muro, tremila persone vivono stipate in trecentotrentacinque baracche, anche sui tetti, sopravvivendo perlopiù grazie al commercio dei rifiuti. Intorno, c’è un Paese con una crescita economica senza precedenti nel mondo, tale da cambiare le cose perfino ad Annawadi. L’antico fatalismo, l’ineluttabilità delle caste cedono il passo alla fede in possibili cambiamenti. Gli abitanti adesso parlano di un’esistenza migliore con disinvoltura, come se la fortuna fosse un cugino che può presentarsi alla porta in un giorno di festa, come se il futuro non dovesse per forza assomigliare al passato. Fino al giorno in cui Fatima «la storpia», colei che più di tutti aveva sperato che la buona sorte toccasse anche a lei, si versa addosso il combustibile per cucinare e si dà fuoco con un fiammifero. Una terribile tragedia di cui, inaspettatamente, viene incolpato proprio il giovane Abdul. Dopo aver raccolto per anni le storie di Annawadi, il Premio Pulitzer Katherine Boo racconta con lo sguardo lucido della giornalista e l’empatia della scrittrice la vita dello slum indiano in un’epoca di mutamenti globali e disuguaglianze sociali sempre più feroci, la quotidianità nei bassifondi governati dalla corruzione e dal bruciante desiderio di riscatto.

L'ultimo mago

L'ultimo mago

È la notte di Capodanno del 1960 e, in un lussuoso appartamento affacciato sul parco del Valentino, un gruppo di persone siede attorno a un tavolo. L’aria è quasi elettrica e nessuno osa emettere un fiato. Aspettano l’inizio di quelli che il padrone di casa chiama «esperimenti» ma che per chi è lì hanno un valore inestimabile, metafisico, soprannaturale. Gustavo Rol ha l’eleganza garbata e poco esibita di chi cammina con naturalezza in qualunque stanza del mondo, e il pubblico pende dalle sue labbra. Solo un uomo lo guarda con sospetto, è sicuro che ci sia un trucco e vuole svelarlo. Nino Giacosa è un uomo rotto, in fuga: dai debiti di gioco, dai fantasmi della disfatta di El Alamein, da Miriam, la donna che ha amato. Da sé stesso. Dopo tanti sogni infranti, tuttavia, ha trovato qualcosa che può riempire il vuoto della sua esistenza: una storia. La storia che sta scrivendo giorno e notte nella squallida stanza di una pensione è quella di un grande imbroglio, celato dalle mani sapienti di un illusionista. Ed è con questo atteggiamento scettico, l’occhio attento a ogni dettaglio, che Nino inizia a partecipare alle serate di Rol. Ma tra i due uomini, all’apparenza così diversi, si crea presto una complicità imprevista. E nelle passeggiate attraverso una Torino gelida e impenetrabile, Rol racconta a Nino la propria vita, il «dono» che ha scoperto grazie a un polacco conosciuto a Marsiglia, gli studi e lo scoramento all’idea di essere ammirato ma mai compreso.

L'idiota

L'idiota

Due giovani uomini, seduti l'uno di fronte all'altro, con le ginocchia che si toccano, nello spazio limitato di un vagone in corsa. Uno biondo, mite, luminoso; l'altro bruno, cupo, febbricitante. Comincia così, in uno spazio ristretto e in movimento, con due personaggi che si rispecchiano l'uno nell'altro, uno dei testi più misteriosi, inattesi, davvero enigmatici della letteratura mondiale, l'«esperimento» di Dostoevskij, un'opera che disgrega i limiti del romanzo della sua epoca e si proietta in avanti a testa bassa, senza freni, verso la modernità, andando però nel contempo a prendere energia e struttura in un passato letterario antichissimo. «L'idea principale del romanzo è raffigurare un uomo positivamente bello. Al mondo non c'è nulla di più difficile» scriveva Dostoevskij. Il principe Myskin, l'«idiota», diventa dunque una sorta di simbolo vivente capace di evocare la figura di Cristo, l'unica positivamente bella per Dostoevskij, che tuttavia quasi non è nominata nel romanzo, pur pervadendolo. Il mondo in cui si muovono il protagonista, le figure comprimarie e le complesse relazioni d'amore che li intrecciano è privo di ogni salvifica bellezza, è un mondo feroce, che gronda sangue, dove chi è indifeso (Nastas'ja bambina, in balia di un adulto depravato; Aglaja giovanetta, prigioniera di convenzioni sociali che le fanno orrore; persino Rogozin, travolto da una passione priva di limiti), o chi si porta nel cuore la mitezza, la grazia, la compassione, si muove a tentoni, cercando di indovinare le regole della sopravvivenza, sempre fallendo, sino al colpo di coltello finale.

Le lettere di Platone

Le lettere di Platone

Quando Giorgio Pasquali, certamente uno dei massimi autori della cultura italiana del Novecento, pubblica Le Lettere di Platone, ha appena compiuto 43 anni ed è quindi nella sua piena maturità. Il libro va letto insieme a Storia della tradizione e critica del testo, pubblicato quattro anni prima, e a Preistoria della poesia romana (1936) ed è, come questi, un libro unitario e non una raccolta di articoli. Ed è in questo libro, più che negli altri due, che è dato misurare la ricchezza e la varietà degli interessi di un filologo, che, nei quattro volumi delle Pagine stravaganti, ci ha lasciato alcuni fra gli esempi supremi della prosa letteraria del Novecento. A differenza che nei primi due, nel libro su Platone il referente primo non è, infatti, la filologia, ma il pensiero nella sua inaggirabile relazione alla storia e alla politica. Così, nella sezione certamente più importante, quella dedicata alla Settima lettera, Pasquali scrive – sono le sue parole – «un capitolo nuovo di storia siciliana» e, insieme, per dipanare i fili di cui è intessuta la lettera, un breve ma prezioso trattato sulla politica greca nel IV secolo a. C. E forse nulla testimonia dell’orgoglio e, insieme, dell’umiltà così caratteristici della sua mente, come le parole che concludono la prefazione: «Allontanarmi da Platone m’è grave, perché so di non aver mai avuto contatto con uno spirito più alto». "Le Lettere di Platone tornarono alla ribalta dell'indagine platonica e della filologia classica in genere. Io le lessi e rilessi, appassionandomi per l'uomo Platone e per la speculazione ultima del filosofo Platone; e nel 1931-32 osai fare di esse argomento delle esercitazioni di seminario, che tenni con i miei scolari di Firenze e di Pisa. E frutto delle esercitazioni è il presente libro".

Matteotti, dieci vite

Matteotti, dieci vite

Alle quattro e trenta di pomeriggio del 10 giugno 1924, sei criminali della cosiddetta Ceka fascista, la polizia politica clandestina il cui elemento di spicco è Amerigo Dumini, aspettano il deputato socialista Giacomo Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma. Lo circondano, lo picchiano e lo trascinano in auto. Matteotti, che ha già vissuto un’esperienza simile, cerca di reagire, fino a quando una lama non gli trafigge il costato uccidendolo. Mussolini è immediatamente informato dell’assassinio, ma inizialmente finge di non saperne nulla. Sette mesi dopo, quando il regime sotto accusa sembra traballare, il Duce si prende la responsabilità politica di quell’omicidio. Nel corso dell’anno successivo instaura una dittatura destinata a durare fino al 1943. Ma chi era Giacomo Matteotti, martire della democrazia e icona della più tenace opposizione al fascismo? Figlio ricco del poverissimo Polesine, socialista riformista, giurista brillante, sindacalista energico, neutralista-pacifista, antiretorico, antipopulista e molto coerente nei comportamenti. Marito assente, ma presentissimo. I quotidiani ostili oggi scriverebbero di lui: «il socialista impellicciato». Ed è esattamente quello che scrivevano i suoi detrattori negli anni Venti del Novecento. A dimostrazione (e non è l’unica similitudine) che alcuni vizi della politica, della propaganda e dell’informazione hanno radici profonde almeno cento anni. La sua storia è quella di un uomo, di un leader politico, che ha visto avanzare il fascismo centimetro dopo centimetro. È la storia di allarmi lanciati e rimasti inascoltati.

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Dal 24/04/2024 al 26/04/2024

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